Anno XXVII • Fascicolo 156 • aprile 2012
5
Editoriale
6
“Fratres in unum”
Paolo Pavan e Luigi Siviero
10
Tra terre e acque: il territorio a sud di Padova nell’antichità
Francesca Veronese
15
Notizie sulla Biblioteca Capitolare di Padova
Claudio Bellinati
18
Le statue di Palazzo Scarpari
Roberta Lamon
22
Antonio Belloni, illustre secentista padovano
Amedeo Benedetti e Paolo Maggiolo
26
La Bovetta e il suo vicolo
Oddone Longo
28
Luigi Montobbio, giornalista e scrittore padovano
Giorgio Ronconi
32
I colori dell’aria
Lorenzo Brunazzo
35
L’attualità del classico in Emilio Baracco
Carla Chiara Frigo
40
Rubriche
Editoriale
Il tempo, gli uomini, i monumenti: non sempre, e non tutti “sincronizzati” in un presente che dovrebbe renderne simultanea la fruizione, in rapporto diretto con le loro funzioni. Nella nostra città, fuori dai confini delle mura cinquecentesche, emergono due insigni esempi di questo “scollamento”: lo (ex) Foro Boario di corso Australia, capolavoro di Giuseppe Davanzo, il cui plastico è esposto al Musem of Modern Art di New York, e lo (ex) Seminario minore di Selvazzano – Tencarola, opera non meno insigne di un architetto padovano attivissimo, sensibile alla lezione di Le Corbusier, e tuttora vivente, Oscar Marchi, che molto operò nella nostra provincia. Orbene, mentre nel primo caso si tratta di un monumento tutelato dalla Soprintendenza, nel secondo non esiste al momento alcun vincolo protettivo. Nella serie padovana aperta dal “Santo senza nome”, e proseguita dal “Caffé senza porte” e dal “Prato senza erba”, annoveriamo oggi il “Foro Boario senza bovini” e il “Seminario senza chierici”. L’uno e l’altro vennero infatti consegnati ai committenti (il secondo ancora incompleto) nel momento in cui la loro utilità sociale e produttiva veniva a mancare: per il Foro Boario erano mutate le disposizioni di legge relative al controllo della qualità e sanità degli animali, controllo delegato agli allevatori stessi, e quindi delocalizzato. Diversi gli esiti del Seminario: fra gli anni ’60 e ’70, la profonda trasformazione della Provincia, e della Regione, in area prevalentemente industriale, avevano liberato le aziende familiari contadine del surplus di giovani destinati a popolare le chiese e le parrocchie: vi fu un’autentica crisi delle vocazioni, onde il nuovo Seminario minore non riuscì ad ospitare più di un terzo degli spazi disponibili. L’imponente mole del già costruito (mancava tuttavia… la chiesa!) venne abbandonato a se stesso, e subì un progressivo degrado, tuttora in atto. Si fece avanti così un progetto di riutilizzo dell’area, ad opera di una cordata guidata dal gruppo bergamasco di Italcementi-Calcestruzzi, un riutilizzo che prevede di radere al suolo l’intero complesso edificato, facendone tabula rasa. Ora, si possono comprendere le ragioni economiche, ma resta da dimostrare che queste debbano oggi prevalere sul principio di tutela artistica e paesaggistica. La nostra rivista, che già intervenne in proposito alcuni anni fa ad opera di Bepi Contin, non si considera ancora sconfitta.
Oddone Longo
Padova-e-il-suo-territorio_156 (pdf)