Anno XXV • Fascicolo 145 • giugno 2010
5
Editoriale
6
La torre dell’Orologio
Serena Borsella
9
L’orologio astronomico di Piazza dei Signori
Luisa Pigatto
12
Il nuovo criterio nella misurazione del tempo
Francesco Liguori
16
La facciata della Basilica romanica di S. Giustina
Andrea Calore
20
La moda ai tempi dei Carraresi
Maria Beatrice Rigobello Autizi
25
Giorgione a Montagnana
Leone Parolo
28
Napoleone indignato con Padova, 1807-1809
Virgilio Giormani
31
La fonderia Peraro
Carlo Piovan
34
Verità ed enigmi su due vite parallele: W.A. Mozart e A. Lucchesi
Giuliano Dal Mas
39
La stagione di prosa al Teatro Verdi
Giorgio Pullini
43
Rubriche
Editoriale
Quando Francesco Petrarca si recava nel Duomo di Padova, allora di dimensioni assai più modeste delle attuali, partendosi dalla sua dimora canonicale posta alle spalle della chiesa, non poteva non gettare lo sguardo sulla torre prospiciente il sagrato, che delimitava a sud-est la cinta murata della cittadella carrarese. Su quella torre infatti pochi anni prima Ubertino da Carrara, terzo signore di Padova, aveva fatto collocare un ingegnoso strumento che serviva a segnalare non solo le ore del giorno, ma anche il moto degli astri e il succedersi delle stagioni. Ne era stato ideatore Jacopo Dondi, un padovano che esercitò la medicina a Chioggia e che nella costruzione di quel congegno meccanico poté applicare in concreto le teorie astrologiche del tempo, illustrate pittoricamente nel più celebre dei monumenti padovani, la Sala della Ragione.
Jacopo trovò un ideale continuatore della sua opera nel figlio Giovanni, anch’egli medico e docente universitario a Padova, a Firenze e infine a Pavia, accolto da Gian Galeazzo Visconti, a cui donò l’esemplare del suo orologio astrario perché si collocasse nella biblioteca del castello di Pavia. Quel complesso macchinario era frutto di lunghi anni di studio, documentato e illustrato in un ampio trattato. Se la macchina, migrata poi in Spagna, finì col
disperdersi in un incendio, il prezioso codice che la descrive minutamente restò a Padova, dove ancor oggi si conserva nella Biblioteca Capitolare. Partendo da quel manoscritto si tentò, in età moderna, di ricostruire il modello originario realizzando tre esemplari, uno dei quali è esposto nelle sale di rappresentanza del nostro Ateneo, munifico dono di un appassionato cultore padovano di strumenti di precisione.
Con la caduta della Signoria l’orologio dei Carraresi subì la stessa sorte della torre e delle mura della cittadella. A sostituirlo si provvide, più tardi, affidando l’incarico a un discendente della famiglia Dondi, chiamata perciò dall’Orologio. Nell’interno del fascicolo si ricostruiscono le vicende del congegno quattrocentesco, che proprio in questi giorni tornerà a funzionare nella piazza dei Signori, cuore della Padova veneziana.
Il recupero è frutto di uno scrupoloso e appassionante intervento eseguito, nel pieno rispetto del manufatto storico, dall’Associazione per il restauro degli antichi strumenti scientifici (A.R.A.S.S. – Brera) nella sede di Milano, dove la macchina era stata trasportata qualche anno fa e dove sono avvenute le diverse operazioni di ripristino, dal minuzioso lavoro di pulizia e controllo delle parti usurate alla sistemazione dei dispositivi per la carica dei pesi motore del tempo e del suono, all’applicazione delle apparecchiature elettromeccaniche che rendono automatiche le operazioni ripetitive, senza alterarne i movimenti.
Non sappiamo se il Petrarca, nei suoi primi soggiorni padovani, abbia avuto rapporti con Jacopo Dondi; conosciamo invece che fu legatissimo al figlio, come testimonia l’affettuoso scambio epistolare e poetico tra i due, di cui rimane traccia nel “Canzoniere” e in più scritti originali del Dondi conservati nella Biblioteca Capitolare di Padova e nella Marciana di Venezia.
Chissà se il Poeta, che in tanti luoghi della sua opera richiama il tema della fugacità del tempo, non avrà pensato qualche volta all’amico e al suo tentativo di misurare quella corsa inarrestabile, quasi a volerlo imprigionare regolando i suoi cicli. Vincitore sulla Fama, il Tempo sarà destinato a sua volta ad esser vinto, come egli stesso immagina nei “Trionfi”; e proprio mentre si avviava a concludere quella fatica letteraria che celebrava la vittoria finale dell’Eternità si arrestò la sua penna per sempre, fra le dolci colline euganee.
Giorgio Ronconi
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