Anno XXV • Fascicolo 148 • dicembre 2010
5
Editoriale
6
Le cause del rischio idraulico nel territorio padovano e veneto
Lorenzo Cabrelle
10
Il secolo d’oro di Padova
Mirco Zago
13
La Cappella Conti nella Basilica del Santo
Stefania Tacchetto
17
Un busto scultoreo di Giovanni Maria Falconetto
Andrea Calore
19
Medicina e sanità al tempo dei Carraresi
Giuseppe Ongaro
23
Luigi Zanesco e la Città della Speranza
Andreina Berti Celli
25
Il soggiorno della regina Caterina Cornaro a Tencarola
Claudio Grandis
29
Ancora sul ritratto di Zuane Bembo al Museo Civico e sul “quasi-gemello” veneziano
Franco Benucci
33
Mezzo secolo dell’opera della Divina Provvidenza
Luigi Peretti
36
Il monastero di Sant’Anna dalla confisca napoleonica ai nostri giorni
Mario Battalliard
39
L’architettura fotografata
Claudio Rebeschini
41
Ricordi dell’INGAP, gloriosa industria padovana del giocattolo
Adriana Cassata Contin
43
Ricordo di Sante Bortolami (1947-2010)
Donato Gallo
45
Rubriche
Editoriale
“E quale i Padovan lungo la Brenta, / per difender lor ville e lor castelli…”. Così Dante, nei primi anni del Trecento: già allora il Brenta, dal corso ondivago e sovente minaccioso, esondava alle prime piogge primaverili, e i Padovani erigevano argini sempre più alti, più alti dei “duri margini” dei gironi infernali. Questa volta, a tutt’oggi 20 novembre, il Brenta non ha avuto la classica piena, o “brentana”, che secondo la saggezza popolare si verificherebbe puntualmente dopo tre acquazzoni (“Tre calighi fa una piova, tre piove una brentana, due festini una p…”). Questa volta, a inondare le fertili terre del padovano è stato il Bacchiglione, fiume di risorgiva, ma non meno capriccioso e insidioso. Fenomeni naturali, imprevedibili e senza difese preventive – almeno stando ad un ministro della Repubblica, che forse avrebbe dovuto occuparsi di altro che di beni culturali: perché anche il territorio, il paesaggio, è un bene culturale, il bene culturale (e sempre meno naturale) primario di un paese civile.
E perché imputare alla natura e agli eventi atmosferici un disastro come quello odierno è insensato, quando tutti sanno che esso è l’esito dello sfruttamento incontrollato del territorio con cementificazioni diffuse, oltre che della mancata manutenzione dei corsi d’acqua, dai fiumi ai canali ai fossati agli scoli. La fortuna, lo “stellone”, hanno voluto che questa volta la Brenta “disdegnosa torcesse il muso” andandosene per la sua strada; se essa si fosse affiancata al Bacchiglione, Padova, zona industriale compresa, sarebbe oggi per intero sott’acqua, come ci assicurano i massimi esperti in campo idrogeologico. Perché, rispetto alle inondazioni del novembre 1966, l’assetto del territorio è nel frattempo seriamente peggiorato, all’insegna di uno “sviluppo” incontrollato e al limite demenziale. E in un futuro sperabilmente lontano, potrebbe accadere quanto dipinto da Giusto de’ Menabuoi
nel Battistero, con un secondo diluvio e una nuova arca.
Dunque, le scelte future dovranno essere scelte “politiche” nel senso più ampio e più nobile del termine, rinunciando a puntare tutto sulla crescita del Pil, coll’obliterazione degli altri fattori non meramente statistico-economici; perché sospettiamo che nel calcolo del Pil perdite come quelle indotte dalle inondazioni non vengano neppure computate. Quando, ad un primo calcolo e approssimativo, risulta che l’importo delle spese di difesa preventiva sono già state superate, e lo saranno sempre di più, dai costi di riparazione delle strutture, di ricostruzione di ciò che è andato distrutto, di risarcimento dei danni subiti. Un conto che non potrà mai quantificare i danni psichici, psicologici e umani, per i quali non esistono risarcimenti
adeguati.
Oddone Longo
Padova-e-il-suo-territorio_148 (pdf)