Anno XXVI • Fascicolo 151 • giugno 2011
5
Editoriale
6
Guariento teologo. Studi e ricerche per una nuova biografia
Claudio Bellinati
10
Il traghetto Carrarese
Tiziana Mazzucato
16
Due miracoli di San Giacomo Maggiore nella Cappella Conti al Santo
Stefania Tacchetto
23
Ugo Valeri pittore piovese
Paolo Tieto
27
Per la creazione di una Scuola Superiore dell’Oreficeria
Paolo Pavan
32
Incombe tuttora sulla provincia la minaccia di nuove alluvioni
Renzo Cavestro
33
Il centenario dell’Istituto “Don Bosco” di Padova
Gabriella Gambarin
37
Per un pugnetto di dollari: no alle trivelle in Bassa Padovana
Francesco Vetri – Giovanni Endrizzi
39
Rubriche
Editoriale
Guariento e i Carraresi
Padova sta celebrando con una serie di importanti mostre il secolo del suo massimo splendore artistico.
Il Trecento, apertosi nel segno di Giotto e della fiorente civiltà comunale, conobbe infatti un nuovo slancio con l’affermazione della famiglia da Carrara, che dette inizio a un regime signorile destinato a prolungarsi per tutto il secolo condizionando le sorti liete e meno liete della città fino
alla conquista veneziana.
La “Reggia”, fatta costruire da Ubertino nel 1343, divenne il centro del potere politico e militare, ma anche il luogo dove il signore accoglieva i personaggi illustri, esibendo con apparati sfarzosi la potenza e il prestigio del casato. Cogli uomini di cultura (primo fra tutti il Petrarca) affluirono
alla corte carrarese valenti artisti, chiamati ad abbellire la reggia e i luoghi di culto più insigni e più cari ai Signori.
Alla metà del Trecento s’impose su tutti un pittore d’origine padovana, il Guariento, che per essersi distinto con opere significative, e negli affreschi agli Eremitani, fu chiamato a realizzare un progetto alquanto impegnativo: la decorazione della cappella privata dei Signori, ricavata sul loggiato
occidentale della Reggia, in prossimità del traghetto che la collegava al Castello. L’opera presentava qualche analogia con l’intervento di Giotto agli Scrovegni, benché rispondesse a un diverso messaggio teologico. Giotto, celebrando Maria, s’era concentrato sul mistero dell’incarnazione, centro
della storia della Salvezza, invitando il fedele, coi racconti del Nuovo Testamento, a una scelta di vita; Guariento preferì invece rappresentare sulle pareti della cappella carrarese una sequenza di scene emblematiche tratte dall’Antico Testamento in cui l’intervento divino nella storia viene messo
in risalto attraverso il ruolo degli angeli, chiamati a fungere da messaggeri, ispiratori, protettori ed esecutori della volontà divina, secondo un preciso ordine gerarchico che rispecchia la classificazione fatta propria anche da Dante. La sequenza di queste raffigurazioni su tavola, collocate a corona del
soffitto, quasi a voler propiziare la tutela angelica sui destini della ancor giovane dinastia, si ritrova in buona parte esposta nella sezione della mostra che ha sede nel Palazzo del Monte.
Prima di morire il Guariento venne forse incaricato di un’altra eccezionale impresa pittorica: la decorazione della grande sala dei romani illustri (l’attuale Sala dei Giganti, che sopravvive nel rifacimento cinquecentesco), per la cui ideazione Francesco il Vecchio s’era rivolto ai consigli del
Petrarca e di Lombardo della Seta.
Dopo il Guariento divenne pittore della Corte Giusto de’ Menabuoi, protagonista anch’egli di uno straordinario ciclo di affreschi nel battistero del Duomo, che Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio, intendeva trasformare in cappella funebre della famiglia. Qui Giusto realizzò il suo capolavoro dipingendo sulla volta della cupola il trionfo di Cristo e della Vergine, circondati dalle schiere angeliche e da santi e beati padovani, quasi in una gara ideale col Paradiso di Giotto agli Scrovegni e con quello che lo stesso Guariento aveva affrescato a Venezia nel Palazzo ducale.
Le iniziative artistiche promosse dai Carraresi furono imitate da autorevoli personaggi legati alla loro corte, come Bonifacio Lupi, che nel 1372 volle riservare alla sua famiglia la cappella di San Giacomo, nella Basilica del Santo, facendola affrescare da Altichiero da Zevio e da Jacopo Avanzi.
Negli stessi anni anche Naimerio e Manfredino Conti, familiari di Fina Buzzacarini, incaricarono il Menabuoi degli affreschi nella cappella che si protende sul lato nord della Basilica, destinata ad ospitare, accanto al sarcofago del beato Luca Belludi, i membri della loro famiglia, e qualche anno
dopo lo stesso Altichiero realizzò per Raimondino Lupi un mirabile ciclo di affreschi nell’oratorio di San Giorgio, in piazza del Santo, vero e proprio mausoleo di famiglia che per genialità e sontuosità sfidava la cappella di Giotto.
Verso la fine del secolo un’altra famiglia legata ai Carraresi, i Bovi, affidò a Jacopo da Verona, già collaboratore dell’Altichiero, la decorazione della cappella di Santa Maria, all’interno dell’antica chiesetta di San Michele arcangelo. Per manifestare la devozione ai Signori i Bovi non mancarono
di far riprodurre in un affresco le sembianze di Francesco il Vecchio e di Francesco Novello, assieme ad altri dignitari, seguendo un costume già praticato dall’Altichiero e dallo stesso Giusto: testimonianza di quanto l’arte figurativa si sentisse debitrice verso coloro che avevano promosso
a Padova quel raffinato modello di società e di cultura. A far rivivere questo interessante periodo della nostra storia concorrono le esposizioni, ora visitabili nei principali centri culturali della città, che permettono di accostare i diversi aspetti della vita cittadina e di Corte grazie all’apporto documentario fornito da qualificati studiosi. I risultati delle loro ricerche sono affidati a due eleganti cataloghi, dedicati l’uno a Guariento e l’altro alla Padova carrarese, alla cui realizzazione ha contribuito significativamente la Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Giorgio Ronconi
Padova-e-il-suo-territorio_151 (pdf)