Anno XXVI • Fascicolo 153 • dicembre 2011
5
Editoriale
6
Lo scultore Serafino Ramazzotti a Padova
Antonello Nave
15
Il palazzo Polcastro-Mario in contrada S. Sofia
Nicola Boaretto
20
Valeria Miani e la sua tragedia Celinda
Cristina Marcon
25
Vincenzo Stefano Breda, filantropo sfortunato
Giorgio Roverato
29
La questione Vanzetti
Giuliano Lenci
32
Gioacchino e Giuseppe Niero: due vite stroncate per la libertà
Giuseppina Carpanese
36
L’Alta Regina e la Bella Signora
Saveria Chemotti
40
Osservatorio:
Una nuova storia di Cittadella
Lino Scalco
43
Convegno “Un uomo chiamato Prosdocimo a Patavium”
44
Rubriche
Editoriale
A chi entri in Padova dalla stazione ferroviaria, si presenta sulla destra, all’altezza del ponte sul Piovego, un singolare “monumento”, denominato comunemente “Libro aperto”, ovvero “Memoria e luce”, quando non rimanga del tutto anonimo. È una struttura aperta, in vetro, che guarda nella direzione della Statua della Libertà di New York; ne emerge una trave d’acciaio di 6 metri, frammento della torre sud del WTO, distrutta l’11 settembre del 2001. Esposta al padiglione americano della Biennale del 2002, la trave venne donata dagli Stati Uniti alla Regione Veneto, che decise di inserirla in un grande monumento da affidarsi ad un architetto di fama mondiale.
La scelta cadde inevitabilmente su Daniel Libeskind, ebreo di origine polacca: la Polonia era stata il luogo delle stragi naziste, che si concentrarono alla fine nel grande campo di annientamento di Auschwitz. In tal modo, Shoah e 11 settembre vennero ricondotte ad una pur prepostera unità, ove si pensi che New York conta un’alta componente di cittadini ebrei, e che Libeskind aveva già realizzato a Berlino il Memoriale della Shoah, lo Jüdisches Museum, con lo sconvolgente susseguirsi di spazi vuoti proiettati verso l’alto di un cielo senza luce.
Padova si trova così oggi ad essere l’unica città d’Italia che ospita un’opera di Libeskind, che si affianca idealmente al Giardino dei Giusti del Comune: persone esemplari che, dovendo sottostare a condizioni di patente ed imperante ingiustizia, ed operando in qualsiasi schieramento, si sono attivate, anche con rischio della vita, per contrastare un genocidio in atto o la cultura del genocidio, con l’intento di vanificarne, anche in parte, gli effetti. Del resto, Padova era stata la sede di una delle più fiorenti comunità ebraiche, alloggiata entro gli spazi, ristretti ma centralissimi, del Ghetto, e luogo privilegiato della cultura giudaica.
Bene dunque hanno operato le varie istituzioni che hanno creato questo baluardo della memoria del passato, in un’epoca di troppo facili ignoranze e dimenticanze.
Oddone Longo
Padova-e-il-suo-territorio_153 (pdf)